JUEGOS DE FUEGOS
2011
“Juegos de fuegos” è un’installazione composta da 196 scatole di fiammiferi, disposte su un’invisibile scacchiera di 14 righe e 14 colonne. All’interno di ciascuna scatola bianca, apparentemente immacolata e neutra, si cela, sistematicamente, lo stesso inquietante disegno: un’arma da fuoco. 196 scatole chiuse, 196 armi nascoste, 196 armi puntate, 196 mani a cui affidarle: un esercito perfettamente schierato, a richiamare il gioco strategico e le strategia militare, una minaccia silenziosa ed incombente, nascosta all’interno di un piccolissimo, innocente involucro. Armi tutte uguali, in scatole tutte uguali, pronte ad essere usate senza distinzione. Poco importa chi sia a puntarla e verso chi venga puntata: fa parte delle regole del gioco. E chi inventa le regole si astiene dal giocare. Armi non solo disegnate con un tratto infantile, ma anche sfocate, oniriche, quasi inafferrabili: come sfocati ed inafferrabili sono i ricordi dell’infanzia, che, siano essi gioiosi o cruenti, rimangono confinati nelle paludi della memoria, impossibili da scrostare. L’infanzia è il luogo del gioco per alcuni, è il luogo più violento della vita per altri. Così queste scatole, apparentemente innocue da chiuse, piccole e fragili, richiamano alla mente come ogni arma, per alcune infanzie, sia nient’altro che un gioco, ma un gioco per adulti imposto da adulti.
Allo stesso tempo, la stessa scatola di fiammiferi rievoca la fiaba popolare de “La piccola fiammiferaia”, una delle storie più truci parte dell’immaginario infantile. Una fiaba che non lascia possibilità di redenzione, e che evoca atmosfere di solitudine e povertà. La stessa povertà di materiali che compone l’opera, e che richiama ad una precarietà costante: le scatole, leggere ed appoggiate al piano, sono suscettibili a qualunque movimento, basta un lieve colpo per distruggere la perfezione dell’esercito schierato. Il/la fruitore/trice è invitato/a ad aprirle, a spostarle ed a lasciarle aperte o a chiudere quelle aperte da altri, a giocarci, a provocare l’effetto domino, un po’ come le guerre insomma.